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ATP

Rublev è il primo degli umani, ma il calendario “umanizza” anche gli alieni

È Rublev il primo degli umani: questo ha stabilito il torneo di Madrid. Un calendario volto allo spettacolo, però, rischia di minare lo spettacolo stesso

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Sinner

L’attesa per il master 1000 di Madrid era alle stelle: un Alcaraz alla ricerca della riconferma in casa per ripartire, Sinner pronto ad accorciare sulla prima posizione del ranking, un Medvedev pronto a dimostrare che Roma 2023 non era un caso e un Djokovic che poteva far prendere il definitivo via alla sua stagione sul rosso.

Pronti, partenza e il serbo dà forfait ancor prima del sorteggio. Poco male per l’audience, Jannik sarà per la prima volta numero 1 del seeding. Via, e arrivano i primi problemi all’anca per l’altoatesino, ma la rimonta su Khachanov allontana i pensieri sul ritiro dal torneo e rilancia ancora le gesta del tennista. Un Alcaraz in difficoltà cede a Rublev e salta Roma. Nemmeno il tempo per realizzare e Sinner annuncia l’addio alla capitale spagnola per questa stagione.

Che occasione per Medvedev? Il match con Lehecka dura un solo set, lo stesso impiegato da Auger Aliassime tra quarti e semifinale per raggiungere l’ultimo atto. I problemi fisici bussano a troppe porte.

Andrey Rublev

Rublev erede di Ruud tra sbavature e maledizioni

Il risultato di un Madrid decisamente poco spettacolare lato ATP – riscattato da una finale per cuori forti tra Swiatek e Sabalenka – è la consacrazione definitiva di Rublev come primo degli umani. Un titolo che qualche anno fa si era guadagnato di diritto Casper Ruud, sempre pronto ad approfittare di ogni sbavatura degli alieni del tennis attuale e che ora calza a pennello al russo.

In questo caso, però, parlare di sbavatura è riduttivo, considerando anche che la “maledizione” di Madrid si è già espansa. Roma, infatti, accoglierà un torneo privo del beniamino di casa, Jannik Sinner, e del rivale Carlos Alcaraz, entrambi per guai fisici. Ci sarà, invece, un Medvedev chiamato a difendere il titolo con più di un’incognita sulle sue condizioni e un Djokovic strafavorito, sì, ma al suo primo impegno dopo l’inaspettata sconfitta contro Ruud. Una maledizione che, in realtà, si portava già con sé Montecarlo e che costringe a porsi alcuni interrogativi.

Alcaraz

Lo spettacolo toglie allo spettacolo

Indian Wells 6-17 marzo; Miami 20-31 marzo; Montecarlo 7-14 aprile; Madrid 24 aprile-5 maggio; Roma 8-19 maggio; Roland Garros 26 maggio-9 giugno.

Così recita il calendario ATP: sei grandi appuntamenti racchiusi in tre mesi, a cui bisognerebbe anche aggiungere il prestigioso 500 di Barcellona. Dei sei tornei, solo Montecarlo ha la durata standard di una settimana, mentre tutti gli altri Master 1000 sono stati allungati a 10 giorni e il Roland Garros impegna le solite due settimane.

25 giorni di riposo totali, ossia 5 di media tra un torneo e l’altro: una media alzata dalla pausa di una settimana a cavallo tra cemento e terra rossa e dalla settimana in cui si disputa Barcellona. Terminato lo Slam parigino, poi, la corsa all’adattamento all’erba, visto che solo tre settimane dopo è il turno di Wimbledon.

Per lo spettacolo è una manna dal cielo, così come per tutti i tennisti in ascesa o semplicemente non ai vertici che hanno più chances per entrare nei tornei importanti e per guadagnare in montepremi e punti. Un calendario che, però, ridimensiona fortemente coloro che invece scendono in campo con la previsione di giungere fino in fondo ad ogni torneo.

Una programmazione di questo tipo umanizza gli attuali alieni del circuito, vuoi per forfait, vuoi per problemi fisici. Una programmazione che, peraltro, rende difficile l’adattamento al cambio di superficie soprattutto per i giovani alle prese con le prime stagioni ad alto livello. Con lo spauracchio di un nuovo Master 1000 in Arabia, c’è da domandarsi se questa ricerca di spettacolo non mini lo spettacolo stesso.

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Berrettini tris si prende Gstaad: record, ritorno al passato e top 50

Matteo Berrettini piega Halys e si prende Gstaad: un ritorno al passato ed in top 50 per il romano

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Berrettini, Gstaad

Matteo Berrettini piega Questin Halys nella finale svizzera di Gstaad, facendo proprio l’ATP 250. Un 6-3 6-1 senza possibilità di replica in meno di un’ora per il rivale francese. La pioggia del primo set rallenta The Hammer, salvo non cambiare il copione, anzi inacidendo le sorti del transalpino.

Per Berrettini è il nono titolo ATP in carriera, il secondo quest’anno dopo Marrakech, nonché il secondo a Gstaad, dopo che nel 2018 alzò al cielo, proprio in Svizzera, il primo trofeo di carriera. L’azzurro, forte del successo che lo proietta al terzo posto degli italiani più vincenti di sempre, al pari di Fognini e dietro ai soliti Sinner e Panatta, da lunedì riabbraccerà, così, la top 50 del ranking mondiale.

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Super Berrettini a Gstaad, cade anche Tsitsipas: è finale

Matteo Berrettini raggiunge la finale al torneo di Gstaad dopo lo splendido successo su Stefanos Tsitsipas, per provare a centrare il titolo

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Berrettini

Matteo Berrettini sta tornando e lo dimostra la splendida prova al torneo di Gstaad. Il romano, infatti, batte anche Stefanos Tsitsipas nel match valido per la semifinale e raggiunge così l’ultimo atto della competizione, dove si troverà di fronte Halys per provare a centrare un titolo che segnerebbe ancora di più la sua crescita nell’ultimo anno.

Un percorso fin qui perfetto quello di Matteo che non ha ancora lasciato set, superando, in ordine, Cachin, Galan, Auger-Aliassime e, soprattutto, la testa di serie numero uno del torneo Stefanos Tsitsipas per 7-6 7-5, con una grandissima prova al servizio. In finale l’italiano si presenterà da favorito per provare a trovare il successo.

Gstaad, però, è un terreno con cui Berrettini ha già dimostrato di aver un rapporto particolare, visto che proprio in Svizzera aveva centrato il suo primo trofeo nel circuito ATP nel 2018 .

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ATP

Cambio generazionale? Ad Alcaraz e Sinner gli Slam, Djokovic rincorre

L’era dei big three è all’ultima chiamata, con la nuova generazione che è finalmente riuscita a invertire le carte in tavola, nelle vesti di Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, fresco vincitore di Wimbledon. Novak Djokovic è ora chiamato a rincorrere per frenare il declino di un’era

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Djokovic e Alcaraz

Il cambio generazionale in questo periodo della storia tennistica è tanto atteso quanto temuto. L’era dei big three, infatti, ha lasciato un marchio indelebile nella mente degli appassionati, in un dominio che dava quasi l’illusione di poter essere eterno. Briciole e poco più è ciò che lasciavano a chi non sedeva nell’olimpo di questo sport e non c’era giovane che bussasse alla porta in grado di modificare in maniera duratura la situazione.

Djokovic l’ultimo dei samurai in grado, fino ad ora, di reggere l’avanzata della nuova generazione e se fino allo scorso anno era lui l’uomo da battere, in silenzio le nuove leve sono finalmente riuscite a stravolgere la situazione. Sinner e Alcaraz hanno fatto loro i primi tre Slam della stagione, con lo spagnolo fresco vincitore di Wimbledon.

“So che quest’anno sono i migliori del mondo e so di non essere al loro livello” sono state le parole del serbo, dichiarazioni completamente opposte rispetto a quanto accadeva fino a poco tempo fa. Non per questo, però, parole di resa con Djokovic che non ha mai nascosto la sua volontà di centrare ancora altri record prima di appendere la racchetta al chiodo.

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